domenica 15 marzo 2009

Guida Al Cinema Horror Asiatico- Parte 2


Cursed
Giappone, 2004. Di Hoshino Yoshihiro. Con Kyôko Akiba, Yumeaki Hirayama, Takaaki Iwao. Genere: Horror. Durata: 81’
Un piccolo supermercato di provincia infestato dai fantasmi miete vittime. La giovane Yoko lavora nel piccolo negozio (gestito da due signori anziani usciti completamente di senno) come part-time, mentre Ryoko, una donna d’affari, vuole vendere il negozio ad una famosa catena di supermercati. Nello stesso periodo, però, alcuni dei clienti del negozio cominciano a morire, mentre i due proprietari del supermercato diventano sempre più alienati e impazziti. Una donna confida a Yoko il segreto inquietante del supermercato: è stato creato con tombe distrutte per risparmiare sul materiale…
Capolavoro del cinema grottesco: una sarabanda rocambolesca di situazioni assurde, originalissime e mai banale. Si parte dai prezzi maledetti: 666 yen, 44444444 yen (numero che porta sfortuna), 999 yen e così via, fino a idee assolutamente geniali (la bambola nella culla, gli occhi che si aprono nel frigorifero, la palla che rimbalza nell’oscurità, il tizio incappucciato, il maniaco armato di martello). È un film straniante e sanguinolento, impregnato di un’atmosfera quasi straziante, ma anche umoristica. È un film caldo e sensuale, ma anche spaventoso e inquietante, calibrato da un uso sapiente della regia. Distribuito anche in Italia in dvd per il nolleggio con un doppiaggio vergognoso (dove i rumori di fondo scompaiono completamente con i dialoghi), la mancanza di extra e sottotitoli. Questo piccolo capolavoro dell’orrore meritava una presenza più dignitosa (10)

Pray
Giappone, 2005. Di Sato Yuichi. Con Katsuya Kobayashi, Fumiyo Koninata, Sanae Miyata, Asami Mizukawa. Genere: Horror. Durata: 77’
Due giovani fidanzati con un debito ingente, rapiscono una bambina da un parcogiochi e si dirigono nella scuola abbandonata di lui, che diventerà il luogo in cui la famiglia dovrà portare i soldi del riscatto. Quando chiamano la famiglia per il riscatto, ma scoprono con orrore che la loro figlia è morta! Quindi la bambina in questione sparisce nei reticolati corridoi della scuola e l’orrore comincia
Film brevissimo ma interessante, costruito da una trama semplice, ma ricca di colpi di scena inaspettati e da un intreccio che si lega a quella di un’altra storia più breve, ma determinante. “Pray” è un ottimo film basato soprattutto sulle atmosfere oscure e claustrofobiche che tolgono il fiato, con qualche buon elemento splatter (le mani mutilate) e un finale strappalacrime impregnato di ricordi infantili. Può sembrare il solito film giapponese convenzionale: bambina muta e assente, corridoi oscuri tanto “Dark Water”, ricordi infantili, suicidi per amore…ma “Pray” è a suo modo originale e trascendente e a fine visione, si riesce ad averne un buon ricordo. Caldamente consigliato. (8)



A Frightful School Horror
Giappone, 2001. Di Makoto Yamaguchi. Con Reina Asami, Chikako Uheara, Eri Yoshikawa, Fumina Hara, Kiyomi Akita, Kana Satou. Genere: Horror. Durata: 86’
Tre storie per tre generazioni di studentesse nell’ultimo giorno di vacanza estiva: tre bambine scoprono dell’arrivo di una nuova misteriosa compagna di classe, tre ragazze nuotatrici che si ritrovano a pulire la piscina dopo un corso di nuoto si raccontano una storia macabra sull’aula di scienze maledetta, una ragazza presta compassione ad un corvo morto nonostante una leggenda urbana dica porti sfortuna…
Detto francamente, “A frightful school horror” non è neanche vicino al valore stilistico e narrativo degli altri due film presentati. È un filmetto diviso in tre storie che vorrebbe far paura con l’utilizzo dello spavento improvviso, aiutato da un corredo sonoro, ma è un film povero e fiacco privo di quella verve originale di molti altri horror orientali. Complici sono anche un’orrenda fotografia sbiadita e una regia pressochè inesistente. Il filo conduttore delle tre storie sono gli animali: cavallette, rane e corvi, ma non occupano un elemento primario in nessuna delle tre storie. Tre brevi film dell’orrore che non sono inguardabili e che possiedono qualche elemento originale (tranne la terza bruttissima sequenza, dalla struttura narrativa incomprensibile!), oltre che qualche gradito sprizzo gore. (5)

Apartment 1303
Giappone, 2007. Di Ataru Oikawa. Con Noriko Nakagoshi, Eriko Hatsune, Yuka Itaya, Naoko Otani. Genere: Horror. Durata: 93’
Sayaka si è appena trasferita in un nuovo appartamento, quando, durante una festa tra amici si suicida. La sorella che non crede al suicidio di Sayaka acquista l’appartamento per capire cosa sia successo veramente. Sarà sconvolta quando scoprirà che quel luogo fu teatro di un efferato omicidio e che tutte le donne che hanno abitato in quella casa si sono tolte la vita…
Ataru Oikawa, famoso regista di film horror soprattutto per mercato televisivo e homevideo, firma questo filmetto di paura senza troppi pensieri né invenzioni. Un’opera di puro intrattenimento troppo convenzionale al modello horror giapponese (ancora il tema del rapporto madre-figlia, fantasmi femminili capelloni, violenza domestica, suicidio…), con temi già triti e ritriti dal panorama giapponese dell’orrore. Si apprezzano i flashback e le svolte narrative, ma recitazione e doppiaggio lasciano molto a desiderare. È un film commerciale low budget senza effetti speciali, con l’unico scopo di intascare soldi grazie alla presenza dell’idol Noriko Nakagoshi. Un film che gioca sullo spavento improvviso, ma che raggiunge di poco la sufficienza. Unico film di Oikawa ad essere doppiato e distribuito in Italia sulla scia della Jappo-Mania in Occidente. A quando “Tomie” allora? (6)

Shrill Cries Of Summer
Giappone, 2008. Di Ataru Oikawa. Con Aika, Rin Asuka, Ayako Kawahara, Goki Maeda, Airi Matsuyama, Erena Ono, Tetta Sugimoto, Kotaro Tanaka , Masashi Taniguchi. Genere: Horror. Durata: 108’
Nobura è un ragazzo che da Tokyo si trasferisce in un paesino di campagna, dove stringe amicizia con alcune compagne di scuola. tutto sembra filare liscio, fino a quando Nobura comincia a sospettare che la comunità fin troppo gentile nasconda qualcosa: perché un compagno di classe del ragazzo è scomparso misteriosamente? Chi è l’assassino di un delitto avvenuto anni prima? Le sue nuove amiche sono forse coinvolte in questa catena di misteri?
Secondo film di Oikawa nell’up di oggi: un film recente e ancora puntato su un idol di successo, questa volta maschile: Goki Maeda, che incredibilmente possiede un vero talento recitativo nonostante la giovanissima età e appare sorridente e simpaticissimo, ma anche riflessivo e spaventato. Ataru questa volta abbandona i soliti fantasmi per addentrarsi in una storia interessante e sanguinolenta intrisa di passione folkloristica. Un paesaggio contandino che ricorda le atmosfere di “The Wicker man”, affondando ovviamente nella solita credenza e maledizione, questa volta, però, il regista usa abilmente la sua creatività narrativa per un teen-horror originale e vagamente schizzoide. Nei primi trenta minuti non accade nulla, ma il terrore lo si percepisce da ogni cosa: da un assillante orologio a cucù che nel folgorante finale verrà completamente coperto di sangue! (7)

Shibuya Kaidan
Giappone, 2003. Di Horie Kei. Con Horikita Maki, Mizukawa Asami, Morishita Chisato, Wada Toshihiro, Yuge Tomohisa. Genere: Horror. Durata: 80’
Si dice che nella stazione di Shibuya ci sia un armadietto che se aperto può realizzare qualsiasi desiderio e vivere una vita felice. Pochi sanno però, che tale armadietto non porti così tanta fortuna, anzi, è portatore di una nefasta maledizione. Una bambina, infatti, molti anni prima era stata abbandonata proprio lì da una madre negligente…
Nel marasma di titoli horror dal Giappone per il mercato homevideo non è difficile notare episodi che meriterebbero di rimanere nel dimenticatoio. Uno di questi è proprio il brutto “Shibuya Kaidan”,un filmino illogico e insensato privo di suspense. È un teen horror senz’anima con i soliti capelli filiformi, ma senza l’invenzione di un Ataru Oikawa o di un Hideo Nakata : qui le idee non ci sono e il film viaggia in un marasma di assurdità pseudocomiche senza il minimo brivido. Affrettatissimo e privo di qualsiasi interesse. Punti di forza? Non annoia ed è molto breve. (4.5)

Haunted Apartments
Giappone, 2006. Di Akio yoshida. Con Mei Kurokawa, Mitsuru Fukikoshi. Genere: Horror. Durata: 93’
Aimi ha 17 anni e, dopo la morte della madre, si trasferisce con il padre in un nuovo appartamento di un condominio, dove c’è una macabra regola da rispettare assolutamente: ritornare a casa entro mezzanotte. Perché? Aimi lo vuole scoprire: negli appartamenti accadono troppe cose strane e perché gli inquilini si spaventano ogni volta che viene pronunciato il nome Ai?
Davvero un buon prodotto proveniente dall’arcipelago giapponese: un horror interessante e mai stucchevole, senza troppi cliché, sa creare un’ottimo pathos e un alone di suspense davvero notevole, senza mai scadere dal punto di vista narrativo. Nonostante il tema della ragazza murata viva sia già stato visto nell’interessante horror coreano “Phone”, “Haunted Apartments” è un’opera di genere dal forte carattere, con un epilogo quasi imprevedibile e con molti salti dalla sedia. Consigliatissimo a tutti gli amanti dell’horror. (8.5)


Ju-Rei
Giappone, 2004. Di Koji Shiraishi. Con Kazuto Eriko, Ueno Mirai, Wakatsuki Chinatsu, Ichido Eriko, Ueno Miku. Genere: Horror. Durata: 75’
Una maledizione che nasce da un efferato omicidio e che colpisce una persona che è vicina a chi la subisce, creando una sorta di catena malefica a cui è impossibile sottrarsi…
Dal regista del capolavoro “Noroi”; “Ju-Rei” è una buona prova nel campo dell’horror direttamente in homevideo: una storia che parte dalla fine per ritornare al principio, a ritroso, per spiegare allo spettatore la nascita della maledizione e il perché delle persone colpite. Un film dal budget molto ristretto, ma che sa offrire momenti di terrore assoluti. È inquietante l’atmosfera che “Ju-Rei” sa descrivere nelle sue movenze pacate e oscure. Un film oscuro e angosciante che non ha bisogno di grossi spargimenti di sangue o di spaventi improvvisi per incutere terrore. Qui la paura è palpabile attraverso acquatici momenti di sospensione che mettono i brividi. Koji Shirashi è ufficialmente il nuovo re del genere horror. (8)

Shibuya Kaidan 2
Giappone, 2004. Di Horie Kei. Con Maki Horikita, Fumina Hara. Genere: Horror. Durata: 86’
la giovane insegnante universitaria Reika si trova in ospedale e, prima di morire, affida la chiave di un armadietto della stazione di Shibuya alla studentessa Ayana, che cerca di scoprire la verità sulla maledizione dell’armadietto stregato e fermare la catena di morti…
Per una volta il sequel subita il predecessore. Se il primo “Shibuya Kaidan” era una vera e propria (scusate il linguaggio volgare) merda, questo sequel, nonostante qualche ingenuità e idiozia di troppo, non è male. È un film illogico ed insensato, ma che non fa gridare all’idiozia. Un garbato horror giapponese con un fantasma ridicolo, ma con una trama che sa mantenersi in piedi da sola. Incredibilmente qui non mancano un paio di spaventi, completamente assenti nel primo shibuya, che era praticamente un’orrenda commedia orrorrofica. “Shibuya Kaidan 2” è un filmetto piacevole e coinvolgente, con un ottimo finale. L’unico problema? Non capirete NULLA se non avete visto il primo. Mannaggia! (6)


Pulse
Giappone, 2001. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Katô Haruhiko, Aso Kumiko, Koyuki, Arisaka Kurume, Matsuo Masatoshi, Takeda Shinji, Fubuki Jun, Sugata Shun, Aikawa Sho, Yakusho Kôji, Mizuhashi Kenji.Genere: Horror. Durata: 120’
Takumi è assente e catatonico. Un giorno come tanti altri si uccide. Miki, una sua amica, scioccata dall’evento, trova un floppy disk del ragazzo dove è salvata una strana fotografia. Nel frattempo Kawashima, uno studente poco esperto di computer, si è appena abbonato ad internet: il computer, però, lo collega ad uno strano sito di fantasmi. Chiede aiuto all’informatica Harue, di cui si innamora…
Il capolavoro di Kurosawa, insieme a “Cure”. Non è un horror, non è un drammatico, non è un film fantascientifico, né tantomeno è una commedia. “Pulse” è un horror per convenzione, ma in realtà è un film senza genere. È un’opera complessa e armonica, agghiacciante , angosciante e incredibilmente fredda. È una profonda riflessione sulla solitudine, sulla morte e sulla paura di vivere. “Pulse” è agghiacciante per quanto è profondo, è carico di emozione e non lascia scampo. Qui i fantasmi non sono donne bianche e capellute, sono spiriti soli che hanno bisogno di qualcuno per sopravvivere: i loro sussurri dall’aldilà diventano inquietanti melodie. Quell’ “aiuto” sussurrato da ogni fantasma in una sorta di rantolo, non è un tranello per vendicarsi, ma una vera e sentita richiesta di aiuto: un sussurro che tenta di arrivare al cuore di chi lo ascolta. Indimenticabile l’incredibile scena in cui Harue abbraccia il nulla sussurrando “non sono più sola”, in un incredibile gioco di specchi ammaliante. La domanda sorge quindi spontanea: si è soli dopo la morte? Distribuito in Italia in dvd, solo dopo l’uscita dell’orrendo e inguardabile remake americano che non prende affatto in esame l’argomento filosofico portante dell’intera opera, concentrandosi solo sullo spavento spicciolo e sugli effettacci. Poveri americani illusi! (10)

The Heirloom
Taiwan, 2005. Di Leste Chen. Con Terri Kwan, Jason Chang, Chang Yu-Chen, Tender Huang, Lu Yi-Ching, Cheng Kuo-Cheng, Lin Ching-Ching. Genere: Horror. Durata: 100’
James è taiwanese ed è appena tornato da Londra, quando scopre di ricevere in eredità una antica magione. La casa fa gola all’amministratore della cultura, ma il ragazzo decide di tenerla per poterci vivere con la sua ragazza. Un’amica della ragazza comincia ad interessarsi in modo morboso alla casa e scopre che una sorta di suicidio di massa avvenne in quelle mura, sterminando tutta la famiglia Yang…tutta tranne una persona…
Bellissimo horror taiwanese che dimostra che non sono solo Giappone, Corea Del Sud e Thailandia i capi del genere del terrore asiatico. Se il Taiwan aveva deluso con un’opera horror come “Silk”, moscia e priva di fascino, ritentando il colpo con “The Heirloom” dimostra di avere le carte in regola per creare astuti racconti del terrore. Parte lento e timidino per poi letteralmente esplodere in una coinvolgente matassa di misteri e rancori familiari nascosti in una magione dall’atmosfera oscura e morbosa. È un film di grande fascino questo “Heirloom” un fascino che non si abbandona facilmente. Oscuro, inquietante, spaventoso. Nero come l’inchiostro. Bello. Molto bello. (9)

Koma
*Hong Kong, 2004. Di Law Chi-Leung. Con Karena Lam, Angelica Lee, Andy Hui, Liu Kai-Chi, Annie Man, Raymond Wong, Roy Chow. Genere: Thriller. Durata: 81’. Vietato Ai Minori Di 14 Anni.
Durante una festa matrimoniale in un hotel avviene un omicidio: una donna viene drogata e le viene tolto un rene. La damigella d’onore, ubriaca, ha visto tutto e sospetta di una sua coetanea che si trovava al ricevimento. Tra le due nasce un rapporto contradditorio: prima si odiano, poi diventano amiche… ma un intreccio di crimini e colpi di scena sconvolgerà la vita di entrambe Sconvolgente. Hong Kong è il paese del thriller: soprattutto poliziesco (Andrew Lau, John Woo, Johnnie To), ma anche, come questo “Koma”, del thriller puro: adrenalina, omicidi, suspense…in un mix coinvolgente e ricco di colpi di scena. Law Chi- Leung crea un film intelligente e calibrato, ricco di citazioni: da Dario Argento a “Shining” (la celebre scena della mannaia, rivisitata con una suadente Angelica Lee anziché il pazzo Jack Nicholson). Love Story, violenza, crimini, traffico d’organi, dramma, amicizia: elementi diversissimi tra loro miscelati in una riuscita zuppa artistica che funge da intrattenimento.Un film da vedere, che per fortuna è stato distribuito anche nella nostra dolce Italia e con un buon doppiaggio. Una sorpresa gradita. (9)


Colic
Thailandia, 2006. Di Patchanon Thammajira. Con Pympan Chalayanacupt, Vittaya Wasukraipaisan, Kulthida Sattabongkoch. Genere: Horror. Durata: 104’.
Una coppia felicemente innamorata decide di sposarsi, quando la donna scopre di essere incinta. Contenti di costruire una famiglia, i due giovani innamorati si trasferiscono in una nuova casa. Lo stesso giorno della nascita del bimbo, però, la casa dei vicini prende fuoco inspiegabilmente. Da quel giorno, il neonato comincerà a piangere senza motivo e i due coniugi pensano che ci sia una presenza sovrannaturale che infastidisce il loro bambino…
Interessante film di paura proveniente dall’ormai nascente Thailandia, “Colic” è un film che tenta di porre una spiegazione sovrannaturale sulle cossìdette “colichine”: crisi di pianto apparentemente senza un senso che colpiscono molti neonati. La risposta? È tutta asiatica: fantasmi, spiriti, maternità, reincarnazione: tutti elementi già visti e rivisti nel panorama orrorrofico asiatico, ma che incredibilmente vengono presentati con audacia e originalità. E c’è anche un po’ di sangue che non guasta mai. Intelligente, ben dotato, a tratti spaventoso. Un film che non deluderà i fans dell’horror. (8)

Bhoot
India, 2003. Di Ram Gopal Varma. Con Ajay Devgan, Urmila Matondkar, Nana Patekar, Rekha, Fardeen Khan, Victor Banerjee, Tanuja, Seema Biswas, Vijay Raaz, Amar Talwar, Barkha Madan. Genere: Horror. Durata: 116’
Una coppia sposata si trasferisce in un nuovo appartamento. Da quell’appartamento si è suicidata la precedente inquilina, ma nonostante la diceria l’uomo accetta la casa e non ne parla alla moglie, che comincia ad essere vittima di visioni ed incubi e inizia ad essere impossessata da una presenza oscura…
E anche l’India, terra dei musical bollywoodiani e delle commedie amorose più melense, punta all’horror, tentando di raggiungere Giappone, Corea Del Sud, Thailandia e le Filippine, appena inserite nel circolo horror! E così dopo un misconosciuto remake dell’hongkongese “The Eye”, remake che ho intenzione di procurarmi ma che non è così facile da trovare, questo affascinante paese ci riprova con “Bhoot”: un film che non promette certo originalità, come sembra dalla trama presentata su. Infatti questo innocuo filmetto dell’orrore non è certo originale, ma è un forte debitore della produzione sia asiatica che occidentale. Scopiazza di qua, scopiazza di là: e così la prima parte sembra presa pari pari da una ghost story nipponica, mentre la seconda giunge da “L’Esorcista”. Cagata direte voi. No, non proprio. Il film, nonostante i plagi e le situazioni trite e ritrite risulta affascinante e a tratti anche spaventoso, con dei buoni attori e buone idee narrative. L’unica vera pecca? L’insopportabile colonna sonora. (6)

13 Beloved
Thailandia, 2006. Di Chukiat Sakveerakul. Con Krissada Terrence, Achita Wuthinounsurasit, Sarunyu Wongkrachang, Nattapong Arunnate, Alexander Rendel, Penpak Sirikul. Genere: Thriller. Durata: 110’
Nel giorno più sfortunato della sua vita, un impiegato riceve una chiamata al cellulare che lo invita a partecipare ad uno strano reality show che promette un’ingente somma di denaro come premio. Lo show consiste nel superamento di alcune prove che sebrano banali inizialmente ma che via via si fanno sempre più macabre ed inquietanti. Il giovane è tuttavia determinato a vincere il premio finale. Nel frattempo una sua amica che scopre della sua partecipazione al gioco indaga sullo strano reality: chi l’ha inventato? Perché?
Uno dei migliori thriller degli ultimi anni ingiustamente non distribuito anche in Italia. Coinvolgente, inquietante, ma anche divertente, il film poggia su un’incredibile simbiosi di humor e macabro, riuscendo ad essere intelligente e sublime. Dura molto ma non ne si sente il peso: si è rapiti dalla visione di un film che cattura. Adrenalinico, vivace, ma non per questo occidentalizzato. Le locandine e i poster pubblicitari lo presentarono quasi come un film violentissimo, il problema è che qui non c’è neanche un po’ di sangue. Una trovata di marketing per tutti coloro che pensavano di trovarsi di fronte ad un “Saw” thailandese. Attori superbi, regia frizzante, montaggio serrato. Divertentissimo, ma soprattutto lungimirante. (10)

The Sisters
Thailandia, 2004. Di Thiwa Meyathaisong. Con Liliana Marie Albert, Kriangsak Klaewkla, Thanadet Meeprasert, Chalad Na Songkhla, Jaran Ngamdee. Genere: Horror. Durata: 107’
Una band di musicisti decide di fare una sosta in un hotel, quando vengono perseguitati da una presenza misteriosa. Scopriranno che la stanza in cui alloggiano è stato teatro di un omicidio: una prostituta infatti è stata barbaramente uccisa, sgozzata e la sua testa è stata legata al condotto d’ariazione della stanza. I ragazzi cominciano a morire uno dopo l’altro
Pensavo di trovarmi di fronte ad una bella ghost story tutta suoni e colori e invece ho scoperto che “The Sisters” è la solita ghost story thai per il mercato homevideo. Una storia poco originale e priva di colpi di scena ne è la cornice: bambino preso pari pari da “Ju-On”, donne dai capelli corvini…
Si salvi chi può! Interessanti alcune idee splatter e, soprattutto, la splendida fotografia dai toni accesi. Memorabile persino la scena del bagno nei petali di rose (omaggio ad “American Beauty”?). dicono sia tratto da una storia vera. Ne dubito caldamente. (6)

Tokyo Psycho
Giappone, 2004. Di Ataru Oikawa. Con Sachiko Kokubu,Satoshi Taniguchi, Mizuho Nakamura, Seiji Chihara, Yuka Hayashi. Genere: Thriller. Durata: 79’. Vietato Ai Minori Di 14 Anni.
Da una storia vera. La giovane Yumiko comincia a ricevere inquietanti lettere d’amore che la obbligano a sposarsi con il mittente. La ragazza sospetta di un vecchio compagno emarginato del liceo. Quando le sue amiche cominciano a scomparire una dopo l’altra e le lettere si moltiplicano, il terrore si fa tangibile. La povera Yumiko ne uscirà viva?
Ataru Oikawa, regista dedito soprattutto al genere horror in homevideo, svolta al thriller psicologico e lo fa basandosi su una storia inquietante e realmente accaduta a Tokyo, quando una povera studentessa cominciò a ricevere macabre lettere d’amore. Nella versione cinematografica di Oikawa, dove la regia è parte fondamentale di un viaggio paranoico e ossessivo nel culto della crudeltà umana. Ci sono trovate geniali: l’indimenticabile scena con il maniaco vestito da donna che corre per il condominio con un ombrello rosso e altre disgustose: i vermi sputati in faccia alla povera protagonista. è una storia macabra e inquietante, che non offre nessuna invenzione, in quanto già incline al genere thriller occidentale, ma si apprezza senza dubbio la capacità recitativa di Sachiko Kokubu, che pur essendo una idol, recita davvero da dio! (7)

Alone
Thailandia, 2007. Di Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom. Con Marsha Wattanapanich, Vittaya Wasukraipaisan, Ruchanu Boonchooduang, Hatairat Egereff, Rutairat Egereff, Chutikan Vimuktananda, Chayakan Vimuktananda, Namo Tongkumnerd. Genere: Horror. Durata: 92’
Pim e Wee sono una felice coppia thailandese che vive in Corea Del Sud. L’annuncio di un malanno della madre, costringe Pim a tornare in patria per farle visita. Wee la segue. Pim, arrivata a Bangkok, comincia però ad essere perseguitata da una presenza oscura, che sospetta essere sua sorella siamese Ploy, morta durante l’operazione che le ha separate. In realtà la verità è ben diversa…
I due registi, di cui non pronuncio i nomi in quanto impronunciabili, dimostrano dopo lo stupendo “Shutter, ancora un a volta, di essere parecchio capaci di creare storie intrise di terrore e paranoia. I colpi di scena, sono ancora più riusciti, sempre più imprevedibili. La trama è geniale, al limite del sublime, non è mai prevedibile. Lo spettatore non può reagire: ne è terrorizzato. Qui non ci sono spiriti maligni femminili, c’è dolore, paura tangibile dal primo fotogramma. La morte si avvicina con il fiato sospeso. E come accadde in “Shutter”, anche “Alone” possiede il finale degno da storia del cinema horror. colpi di scena a catena, mai forzati, mai banali. Un capolavoro da vedere e rivedere: per sorprendersi ogni volta. (10)

The Wig
Corea Del Sud, 2005. Di Won Shin-Yeon. Con Chae Min-seo, Sa Hyon-Jin, Yu Seon. Genere: Horror. Durata: 94’
Su-Hyun ha un cancro e sta per morire. A causa delle chemioterapie ha perso forza e i capelli e ciò la rattrista. Per consolarla, la sorella Ji-Hyun, che ha perso la voce in un incidente stradale, le regala una parrucca. Incredibilmente, una volta indossata la parrucca, Su-Hyun cambia radicalmente: non è più quella fragile creaturina, ma una ragazza forte che tenta di rubare il ragazzo alla sorella. Sorpresa, Ji-Hyun scopre che la parrucca è stata realizzata con i capelli di una suicida, che il suo ragazzo frequentava…
Buon prodotto coreano, che più sulla concentrazione di paura e spaventi, si sofferma sul lato intimista dei protagonisti, scovandone disagi e dolori, che ne creano una certa tensione. Non mancano comunque quei bei momenti di terrore puro e, perché no?, un bel po’ di splatter (soprattutto sul crudissimo finale). “The Wig” è un’opera originale che seppur basandosi su un tema convenzionale per l’oriente ( i capelli), riesce a mettersi in piedi con una storia ben strutturata. Colpo di scena finale molto gradito. (7)

The Park- Biglietto Per L’Inferno
Hong Kong, 2003. Di Andrew Lau. Con Bobo Chan, Tiffany Lee, Derek Tsang, Cheung Wing-Hong, Edwin Siu, Kara Hui. Genere: Horror. Durata: 90’
In un festoso parco giochi gremito di gente una bimba cade dalla ruota panoramica e muore. Il parco chiude e il gestore si suicida. Quattordici anni dopo, Alan, un giovane che aveva assistito all’incidente decide di indagare sul parco, ormai abbandonato e considerato luogo di spettri. Durante un sopralluogo il ragazzo non fa più ritorno a casa e la sorella decide di andarlo a cercare, con un gruppo di amici, proprio in quel parco…
“The Park” secondo un sondaggio, è stato votato come uno (se non il) peggior film di tutti i tempi. Io non azzarderei così tanto anche se posso ammettere che ci troviamo di fronte ad un film brutto, a tratti sconclusionato, ma che promette lampi di genio. Come dimenticare il bell’inizio dove un luna park festoso e gremito di bambini si trasforma in luogo d’orrore? Con quello stacco in bianco e nero e la via di clown impiccati? Inizio da urlo. Poi il film perde un po’ di quella stoffa iniziale, mostrandoci un gruppetto di adolescenti urlanti (tra l’altro l’unica che mi stava simpatica muore -.-‘) che girano per il parco quasi come sfida personale. Laddove ci si aspetti qualche brivido ecco che spesso la trama sfocia nel ridicolo, mostrando fantasmi idioti e più simpatici che spaventosi: bambini obesi appollaiati a mò di buddha, zombie saltellanti… la storia si fa ancora più acquosa e ridicaola quando arriva la madre della protagonista. Ho gradito, inaspettatamente, le love story che si intrecciano nel terrore. Bellissima la fotografia. In Italia distribuito con occhialini 3D che non funzionano.(4.5)

The Unborn
Thailandia, 2003. Di Bhandit Thongdee . Con Sai Jareonpura, Prangthong Changdham, Krunphol Tiansuwan, Aranya Namwong ,Woravit Kaewphet, Keunsit Suwannawat,Wannakit Siriphut. Genere: Horror. Durata: 108’
Por è una ragazza tosta che lavora in un karaoke, dove alcool e droga scorrono a fiumi. Per un affare di droga, viene picchiata e gettata in un fiume. Quando si risveglia, la donna si ritrova in ospedale e scopre di essere incinta di dodici settimane. Nel tempo in cui si trova in ospedale, però, viene perseguitata prima dal suo iniziale persecutore e poi da un fantasma femmineo. Per capirci qualcosa, la giovane indagherà scoprendo che una ragazza poco tempo prima si è uccisa proprio nel fiume in cui è stata gettata…
Dopo 5 anni di oblìo, l’occidente (forse in vista di un nuovo orrendo remake americano) ha recuperato questo prodotto di paura thailandese, in un’edizione in dvd davvero povera e priva di
Extra. Il film di per sé è bello e coinvolgente, troppo forzato su alcuni punti, per creare un tipo di investigazione “Ringu-style”, ma per quello che mi riguarda la pellicola funziona a meraviglia. E la recitazione (rovinata un po’ dal doppiaggio ita) è davvero di prestigio. Pochi salti dalla poltrona, ma molta tensione…colpo di scena finale prevedibile, ma riuscitissimo. (7)

The Screen At Kamchanod
Thailandia, 2008. Di Songsak Mongkolthong. Con Pakkaramai Potranan, Namo Tonggumnerd. Genere: Horror. Durata: 81’
Basato su un mistero realmente accaduto. Nel 1991 fu installata la proiezione di un film horror di nome “Evil Spirit”. non c’era nessuno spettatore. Per qualche strano motivo verso la fine del film una marea di gente si sedette e cominciò a guardarlo, per poi sparire sul finale! Che cosa accadde? Per scoprirlo un produttore cinematografico decide di riproporre diciassette anni dopo, la pellicola maledetta in un cinema di Bangkok. Chi lo vede va incontro ad una triste fine…
Diciamocelo, la Thailandia ha una vera e propria passione per il genere horror! Sono infatti migliaia i titoli che escono ogni anno da questo affascinante paese asiatico, sia direttamente in homevideo che al cinema. Non sempre questi prodotti reggono il confronto con capolavori dell’orrore di origini giapponesi o coreani, ma la Thailandia ha saputo graffiare con opere stupende come “Shutter” o “Alone”. “The Screen At Kamchanod” è un film di cui si è parlato tantissimo (si sospetta anche una futura distribuzione occidentale) dalla trama affascinante e contorta, basato su un fatto di mistero realmente accaduto in Thailandia. Nonostante lo spunto, la trama si dilunga come il solito pastiche di fantasmi e vendette con qualche svolta in più. Film trito e ritrito quindi? Non necessariamente. “Screen” è un’opera oscura e atmosferica, dotata di un’ottima regia, una fotografia inquietante e soprattutto su una musica incredibile che gioca sia sulla creazione della tensione che sullo spavento improvviso. Un ottimo prodotto che, nonostante non abbia una trama originalissima, sa sorprendere con invenzioni visive e sonore. E la Thailandia diventa patria dell’orrore. (8)

Visioni Di Morte
Hong Kong, 2003 . Di Su Hung Cheung. Con Francis Ng, Nick Cheung, Athena Chu, Tiffany Lee. Genere: Thriller. Durata: 87’
Saori è sposata con un poliziotto che la trascura e decide di divorziare. Mentre i due sono in macchina, però, l’uomo tenta di placare una sparatoria che accade poco più in là. Nel marasma una donna muore e Saori viene ferita e portata in ospedale. Dopo un breve stato comatoso, però, la donna comincia ad avere strane visioni e premonizioni riguardanti omicidi di un serial killer che si aggira per Hong Kong. Che le loro menti siano collegate? Chi è l’assassino misterioso?
Interessante thriller hongkongese, che nonostante non sia nemmeno assimilabile ad altre opere ben più riuscite, rimane un prodotto fresco da vedere giusto per svago, dotato di un buon mix di azione e mistero con picchi splatter sul finale. Colpo di scena finale prevedibilissimo, ma non per questo pacchiano e mal riuscito. I pregi? La recitazaione della protagonista, la fotografia e il fantasma della donna uccisa. Le pecche? Molti buchi nella trama e alcune invenzioni orrorrofiche piuttosto banali oppure già viste e riviste. Finale sospeso. (7)

Seance
Giappone, 2000. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Yakusho Kôji, Fubuki Jun, Kusanagi Tsuyoshi, Ishida Hikari, Kitarou, Kishibe Ittoku, Osugi Ren, Aikawa Sho, Shimizu Daikei. Genere: Horror. Durata: 96’
Junko e Koji sono una coppia giapponese felice. Lei è una medium in continuo contatto con i fantasmi, lui un registratore di suoni. Mentre Koji si trova nel bosco a registrare i suoni della natura Yoko, una bimba che sta fuggendo da un pedofilo, si nasconde nella valigia dell’uomo. Poco dopo la polizia si affida a Junko chiedendole di usare i suoi poteri sovrannaturali per localizzare il corpo della bambina, denunciata scomparsa. Quando la donna “fiuta” la presenza della bimba in casa e la ritrova addormentata nella valigia di Koji pensa di non avvertire la polizia immediatamente, in modo da far credere di essere stata lei stessa a trovare Yoko. Ma la bambina muore e il suo spirito devasterà la vita dei due coniugi
Kiyoshi Kurosawa realizza per la televisione giapponese questo film horror che seppur distaccandosi dal modello cinematografico del solito Kurosawa, riesce a possedere diverse grandi riflessioni, concentrandosi su un’angoscia che mai fugge. “Seance” è un buon film del terrore basato su tensione e atmosfera, sui silenzi e sull’angoscia, senza mostrare neanche una goccia di sangue. Terrorizzante la scena in cui Yoko esce pian piano dalla valigia con il volto sfigurato. Kurosawa illustre maestro. Koji Yakusho e Jun Fubuki superbi nei ruoli dei due coniugi (8.5)

Face
Corea Del Sud, 2006. di Yoo Sang-Gon. Con Shin Hyun-Jun, Song Yoo-Ah. Genere: Horror. Durata: 84’
Hyun-Min lavora come costruttore di volti, ovvero, riesce a risalire al volto di una persona partendo dal suo teschio. L’uomo, però, è preoccupato per la salute di sua figlia, malata gravemente di cuore. Nel frattempo la polizia è alle prese con omicidi dove alcune donne vengono disciolte nell’acido. La poliziotta Sun-Yong da il cranio di una delle vittime a Hyun-Min, cercando di scoprirne l’identità. L’uomo, intanto, scopre che il dr. Yoon gli ha mentito riguardo il donatore di cuore di sua figlia
Nel marasma di horror orientali distribuiti e non in Italia si può notare la presenza di questo film: “Face”, che vive dietro l’ombra di altri illustri e bellissimi colleghi. Questo film coreano, nonostante non possieda qualità eccelse, riesce comunque a farsi rispettare con dei buoni attori, un’atmosfera straniante, quei due o tre spaventi e perché no? Anche qualche schizzo (occasionale) di sangue. Meglio tralasciare la trama: essa, seppur originale possiede dei fastidiosi buchi, che non sono buchetti narrativi, ma veri e propri buchi neri (la spiegazione dell’apparizione del solito fantasma femminile). Un horror ottimamente realizzato, con diversi salti dalla poltrona e una buona regia atmosferica, che risolleva quell’intoppo causato da una storia sconclusionata e inverosimile, che si fa via via sempre più illogica. (6)

Diary
Hong Kong, 2006. Di Oxide Pang. Con Charlene Choi Cheuk-Yin, Shawn Yue, Isabella Leong. Genere: Thriller. Durata: 88’
Winnie è una ragazza che passa il tempo a costruire pupazzi e a scrivere sul suo diario. Quando il fidanzato la lascia viene travolta da un vortice di follia estrema, soprattutto quando conosce Ray, che assomiglia in modo inequivocabile al suo ex ragazzo…
I Pang dopo il colpo grosso di “The Eye” ci riprovano. Ma ci hanno riprovato anche troppo, difficilmente raggiungendo risultati lontanamente definibili umani (eccezioni alla regola: “Ab-Normal Beauty” e “Re-Cycle”, davvero ottimi). “Diary” è IL passo falso della carriera pangiana: una cosa assurda che vorrebbe essere inquietante ma non ci riesce, con quella fotografia opprimente e oscura, con quelle visioni al limite del surrealismo. “Diary” è un film sconclusionato, illogico, senza se e senza ma, con una trama che annoia e che fa acqua da tutte le parti, da tutte le direzioni. Non fa paura ,non ammalia, non da emozioni in generale, perso nella sua brodaglia di sterlismo e angoscia. 88 minuti in cui i piagnistei di una malata di mente vengono ripresi fino all’ossessione, mentre i titoli di coda illusori appaiono addirittura, a flash, mezz’ora prima che il film finisca. Giusto per un’illusione coerente in un mondo crudele. (4-)

Chermin
Malesia, 2007. Di Zarina Abdullah. Con Deanna Yusoff, Natasha Hudson, Khatijah Tan, Farid Kamil, Sofi Jikan, Mustaffa Maarof, Sheila Mambo, M. Rajoli. Genere: Horror. Durata: 100’.
Nasrin è bellissima ed ha un ragazzo splendido che la ama. La sua vita è felice, fino ad un tragico incidente stradale, dove il suo volto rimane sfigurato. Da quel giorno scopre l’esistenza di uno specchio di cui comincia a farne un’ossessione, fino a restarne posseduta letteralmente dallo spettro dello specchio. Considerata indemoniata, la ragazza viene sottoposta ad esorcismo
La Malesia. Terra musulmana dell’Asia, dove crescono le foreste e dove ci sono animali selvaggi in contatto con rigogliose metropoli. Ma ora la Malesia non è più terra di Sandokan: ora è anche luogo di cinema, soprattutto di genere orrorrofico, ben libera dalle censure cinesi nel genere. Zarina Abdullah è una regista al suo debutto cinematografico, che ci offre una visione orientale, ma anche musulmana, dell’orrido: un esorcismo. Il demonio racchiuso nel corpo di una donna. Se però si rischiava di scopiazzare “L’Esorcista”, l’Abdullah si tiene in piedi sfilacciando un curioso reticolato di maledizioni, dove l’esorcismo trova riscontro solo nel finale. Una buona prova, non totalmente riuscita, ma nemmeno da buttare. Qualche invenzione registica davvero geniale. (6.5)

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